Non diremo per ora chi sia, ma confermiamo subito che ciò che sembra è ciò che è: sì, è monaco che imbraccia un fucile.
Negli anni, la nostra frequentazione del monachesimo occidentale si è fatta più attenta, anche per ragioni – diciamo così – personali 😉 . Ma Mario, grazie al suo amico Piero, ha potuto anche farsi un giro (a piedi) tra i monasteri del Monte Athos e ora, a Creta, anche Silvia ha la sua parte (nella repubblica monastica del Monte Athos, non è ammesso alcun essere femminile).
Tra ieri ed oggi, lasciata Rethymno, ne abbiamo visitati due di monasteri ortodossi, molto importanti nella storia e nel mito nazionale dei greci.
[ah, nel frattempo…
…ci siamo dotati di macchinetta in affitto]
Il primo è stato il Moni Arkadiou, noto per essere stato un bastione della residenza ai turchi.
A metà dell’Ottocento, centinaia di persone del circondario si rifugiarono nel convento assediato. Quando non ci fu più speranza alcuna, l’abate radunò tutti in una cantina dove c’era ancora qualche barile di polvere da sparo e decisero di farsi saltare tutti, monaci, uomini, donne e bambini, insieme ai turchi assalitori. Una specie di Masada cretese…
La realtà odierna di questo monastero è idilliaca. Ci siamo arrivati in una splendida giornata di sole, ventosa e ci è apparsa un’oasi di quiete e di colori.
Più simile al primo impatto a un fortino, o meglio a una delle vecchie missioni francescane della California. Il tutto rallegrato da bambini in gita scolastica che sciamavano tra le buganvillee .
Nella chiesa (un esempio, dice la guida, di architettura rinascimentale veneziana – mah) i ragazzini e le loro maestre si sono messi in fila per baciare l’icona principale e poi, naturalmente, si sono affollati al banco delle candele.
Insomma una specie di paradiso, con un piccolo museo interno che racconta e rappresenta (disegni, quadri ecc.) l’evento storico, l’abate che regge la croce con la sinistra, un fiaccola con la destra, e la gente tutta intorno inginocchiata tra i barili di polvere a pregare. Solo una bambina sopravvisse.La cantina, ovviamente scoperchiata, è visitabile.
Poi ancora verso Sud, verso la piccola spiaggia di Preveli, allo sbocco di una gola, con un laghetto di acqua dolce in un palmeto. Noi abbiamo dormito lì, cioè seicento metri di scogli più a Est, in una micro pensioncina.
Questa mattina, senza zaini, abbiamo attraversato quei 600 metri, poi dalla spiaggia siamo saliti (scale infinite e due chilometri e mezzo di strada asfaltata) per arrivare al Moni Preveli.
Un monastero che fu molto potente e ricco e con le sue ricchezze aiutò i cretesi a resistere al turco, anche organizzando scuole. Ma non fu solo di soldi il contributo dei bravi monaci di Preveli alla rivoluzione greca del 1821, l’abate Melchizedek alzò la bandiera nazionale, partecipò alla rivolta e morì in combattimento.
Ecco, religione e nazione, monaci e fucili. Roba grossa da capire.Il successore di Melchisedek nel 1941, Agatangelo Longobardo (italianizzo, ma si chiamava così), fu impegnato in un’altra guerra, raccogliendo e sfamando centinaia di militari britannici, australiani e neozelandesi, sfuggiti all’occupazione tedesca, e guidandoli alla baia sottostante (quella delle palme) dove li attendevano di notte i sommergibili inglesi.
Di qui il monumento a picco sul mare, poco prima di arrivare al monastero, del quale la statua del monaco armato fa parte, insieme a quella di un soldato inglese.
Ma poi, sì, siamo tornati alla spiaggia, quella che si vede alle spalle di Mario
Una bella incocciata di sole, quindi siamo risaliti sui monti in macchina e ne siamo ridiscesi per aggirare la montagna più alta dell’isola, in direzione di Heraklion. Domani e dopodomani ci diamo all’Archeologia.