Folle


Un sacco zen, ma anche no. L’entrata dei Ted nel cuore dei circuiti turistici giapponesi a Ferragosto-Obon è stata come ci aspettava essere: densa. Densa in tutti i sensi, specialmente in quello del numero di persone che si affollano e che ti affollano, in un caldo umido che è solo marginalmente meglio della pioggia che pure ogni tanto ci ha preso.

E tuttavia questa è Kyoto, centro della Storia giapponese e – quindi – attrazione principe dei visitatori, tra i quali ovviamente noi. Già la prima giornata era stata faticosa, per quanto affascinante, ma l’arrivo ieri al famoso Padiglione d’oro, con due guardie che dirigevano il traffico di pedoni sin dall’entrata, è stato un bel colpo. Sgomitando e/o attendendo educatamente il nostro turno, siamo tuttavia riusciti a guadagnare un posto per ammirare, fotografare e fotografarci.

L’esercizio della pazienza e la consapevolezza di essere noi stessi parte del problema (ehh, capito la profondità di riflessioni che i luoghi abilitano?), hanno consentito di goderci ancora templi e ancora giardini meravigliosi – zen e non.

Dal punto di vista tecnico-logistico quella di ieri è stata la giornata dei bus, visto che a Kyoto la rete metro è assai limitata… ma come fa una grande città ad avere due linee  e basta che si incontrano in punto solo?! (ah ah). Dotati del nostro pass quotidiano siamo saliti e scesi dagli autobus come non avessimo fatto altro — tranne per il fatto che a volte salivamo su quello in direzione sbagliata, per via dei sensi di marcia invertiti (qui si guida a sinistra). Gli autisti in guanti bianchi ci hanno comunque aiutati e – no – non abbiamo fatto ancora esperienza degli “spingitori” e degli “spingitori di spingitori” (cit.).

La spinta per l’escursione mattutina era dovuta principalmente a Mario che voleva tornare negli unici due punti che ricordava della sua visita da diciottenne. Il Padiglione d’oro, appunto, e il famoso giardino zen delle rocce, nel vicino tempio Ryoanji. A Mario ha fatto la stessa impressione e ha chiesto a figli di fargli una foto come quella che gli avevano fatto gli occasionali amici giapponesi di 48 anni fa (uno dei quali, si ricorderà, l’anno successivo fu ospite de Lungotevere).


Il resto della famiglia, benché apprezzasse è sembrata meno colpita, specialmente a paragone di altri giardini. Per Mario è stata invece proprio un’emozione in tutti i sensi, un altro circolo che si chiudeva.

Non che sia stato facile effettuare questa apparentemente quieta e solitaria foto, anche in questo caso è stato necessario mettere in atto lunghe e pazienti strategie, attendere che un’anziana coppia liberasse la porzione di scalino utile, ecc.

D’altra parte le folle ce le siamo ritrovate pare-pare nel famoso sentiero del bosco di bambù, sulle colline a Ovest della città, circondate da trappole per turisti, nelle quali causa fame e sete ci siamo consapevolmente, ma tristemente infilati.


…rallegrati, sul serio, da un suonatore ambulante di “space drum”, o “handpan” o “hang”, una specie di wok di bronzo con coperchio bozzuto che il musicista percuote con le mani.


Figlio 2 assicura che è una roba che si sente in tutto il mondo. Noi l’abbiamo sentita qui e ci è sembrata molto piacevolmente “orientale”.

La giornata è finita con la visita del Museo internazionale dei Manga, al centro della città. Molto carino e interessante, anche perché – oltre alle mostra permanente sulla storia dei racconti illustrati giapponesi e a una mostra temporanea di una disegnatrice  piena di riferimenti pre-raffaelliti e Secessione – il luogo è letteralmente ricoperto di librerie piene di centinaia di migliaia di pubblicazioni e centinaia di persone siedono ovunque a leggere. Un museo-biblioteca, insomma. Purtroppo dentro era proibito fare foto e l’unica che vi possiamo mostrare riguarda i lettori sbracati nel cortile.


PS: questo post è stato scritto su un treno locale tra Kyoto e Nara, in ritardo di quasi un’ora, causa nubifragio notturno in tutta l’area. Anche loro, sì, anche loro.