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Cronaca del viaggio in Giappone dell’agosto 2017

Italia (post scriptum)

Questa l’abbiamo vista questa mattina, parcheggiata nei pressi del castello di Osaka, ma avrebbe dovuto appartenere al post precedente:


Non si vede, ma sul parafango anteriore c’è anche una bandierina tricolore. Noterete poi, oltre alle scritte, la coincidenza del numero di targa. 

Figlio 1 ci spiega il contesto culturale che l’automobile chiaramente presuppone: una 500 gialla (tipo vecchio) era la macchina in dotazione di Lupin III, ladro gentiluomo giapponese erede dell’omonimo Arsenio francese e protagonista di una longeva serie di cartoni animati (anime) negli anni Ottanta.

Italia

Chiediamo scusa a tutti i templi shintoisti, a tutti i feudatari divenuti Shogun (*), alle folle che si riversano qui ogni mattina con il treno in arrivo da Tokyo che ripartiranno alle quattro, ma noi la storia dei nostri due giorni a Nikko la facciamo partire dalla coda, cioè da qui:


Questa è l’ombra di Figlio 2 su una veranda aperta sulle brumose e placide acque del lago Chuzenji, qualche chilometro più a nord e parecchie centinaia di metri più su di Nikko (che è celebre, appunto, per i templi e i memoriali dei primi Shogun). Alle spalle di Figlio 2 c’era questa roba qua:


Siamo nella residenza estiva dell’ambasciatore d’Italia in Giappone, o meglio quella che è stata fino al 1997 la residenza dell’ambasciatore, poi – immaginiamo con la complicità dei bilanci pubblici italiani – la villa è stata ceduta allo Stato giapponese che la ha completamente ristrutturata e la ha aperta al pubblico, insieme all’addiacente ex-residenza estiva dell’ambasciatore di Sua Maestà britannica.

Più oltre sul lungolago ci sono anche le ville di belgi e francesi, ma queste ancora territorio diplomatico. Gli è che nella prima metà del Novecento, tutta la bella società internazionale di Tokyo – quelli che ancora non si conoscevano come “expats” – veniva a prendere il fresco qui, costruiva ville, si sfidava a vela, si in incontrava per i tè e intanto pensava di avere le sorti del mondo in mano.

La villa è in gran parte di legno e ricoperta, dentro e fuori, della corteccia di alberi diversi. “Elegante e rustico” si può dire? Comunque l’insieme è piuttosto affascinante e la vicenda – in fondo felice ci sembra – della villa italiana (disegnata in realtà dal console onorario ceco che di mestiere faceva l’architetto) e di quella britannica , simbolizza bene il passare del tempo e il cambiare degli equilibri mondiali.

In precedenza avevamo camminato per oltre tre ore un po’ più a monte del lago, in un territorio di paludi montane straordinario, servito da un ancor più straordinario sistema di sentieri e segnalazioni.


Ma Nikko, oltre che per la pioggerellina fastidiosa e per i templi… 

 . ..vabbè, vabbè, ne volete vedere uno? Eccolo: 


(È una roba superornata del Seicento, che fa pensare a una specie di “barocco universale” che si impone alla faccia del severo isolamento politico, commerciale e culturale che gli Shogun imposero per due secoli e mezzo al Giappone…)

…insomma, dicevamo, a parte questo, la cosa che ci resterà a lungo nella memoria è la guest house che ci ha ospitato. Un po’ fuori dalla parte più “utile” del paese, è una vecchia pensione giapponese, ereditata dal nipote della donna che la mise in piedi 47 anni fa. Il tipo è sveglio e la ha trasformata nel paradiso dei backpackers (“saccoapelisti”, nel volgare linguaggio giornalistico italiano di qualche anno fa): stanze con tatami e futon, servizi comuni, sala comune con frigo, forno a microonde e drink (caffè e tè a volontà). Ti porta anche in macchina alla stazione la mattina e alle terme (onsen) la sera. Ecco la nostra stanza:


Chiudiamo con un’ultima notazione nippo-italiana. Ciò che segue compariva nell’ultima pagina di un menù fotografico di un ristorante:


Non scandalizzatevi troppo, i fagioli rossi sono ingrediente base di una composta utilizzata per molti dolci qui e la panna è la panna: si tratta, in fondo di un dessert (peraltro non disponibile. v. la croce). 

E i pizzaioli romani che te la offrono con la Nutella? :)

————–

(*) gli Shogun, se abbiamo capito bene, sono stati a i capi militari e de facto padroni del Giappone dall’inizio del 1600 alla seconda metà dell’800, pur in presenza di una corte e di una dinastia regnante che non contavano niente.

Mitologie

Un rapido flashback per il Nebuta Matsuri, la grande festa di Aomori, dove tutte le sere per sei giorni sfilano carri immensi, tipo quelli di Viareggio, solo illustrano scene di storie più o meno mitologiche con gran guerrieri con spada sguainata, cavalli inarcati, draghi infilzati ecc. Sono strutture di legno che reggono sculture di fil di ferro ricoperte di carta dipinta e illuminate da centinaia di lampadine all’interno. 


I carri, accompagnati dal rullare dei timpani, sono seguiti dalla folla con uno strano costume colorato che serve solo a quello e che balla e salta urlando “rasserà, rasserà, raserà-serà-serà” (grandi discussioni tra gli esperti se significhi veramente qualcosa, ma alla fine sembra di no). 

L’ultimo giorno la sfilata c’è nel pomeriggio e la sera i carri più belli sfilano lungo il porto sulle chiatte accompagnati da oltre un’ora di fuochi d’artificio continui, mentre decine di migliaia di persone si assiepano mangiando e bevendo dalle bancarelle. Ragazze e ragazzi spesso in vestiti tradizionali.

Figlio uno e figlio due alla fine della sfilata hanno seguito danzando l’ultimo carro.

Qui sotto alcuni video, dopo i video una strana “chicca”.

Si diceva dei temi epici dei carri. A un certo punto è passato questo:


Non si vede benissimo, ma con ogni evidenza quella a sinistra è la Madonna, quello a destra forse Gesù o San Giuseppe, ci sono anche due putti barocchi con aureola e croce in mano. La figura al centro, in tutto e per tutto simile ai feroci guerrieri degli altri carri, impugna una croce e una spada con l’elsa rivolta verso il pubblico ed è provvisto di ali. Figlio uno, esperto di iconografia in genere e in particolare giapponese, ipotizza trattarsi dell’arcangelo Michele. 

Che si tratti di roba cristiana non c’è dubbio, perché sul retro, invece di un’altra scena plastica, c’erano immagini classiche di crocifissione, ressurrezione ecc. con relative spieghe:


Ecco infine la redazione del blog al lavoro (foto credit: Figlio uno)

Acqua

Per seguire un normale criterio cronologico avremmo dovuto parlarvi della serata del gran finale della festa popolare di Aomori, qualche km a nord di Akita, con carri che sembrerebbero di cartapesta, ma sono invece di carta dipinta e illuminati dentro, come immense lanterne che riprendono storie e miti giapponesi e cinesi (con qualche bizzarra e interessante eccezione)… e tuttavia un altro tema ci è stato imposto dal caso e dalla cronaca.

Dunque, come primissima cosa, cliccate questo link che dovrebbe portarvi a un file audio e ascoltate con attenzione la melodia che sembra sprigionarsi da uno xilofono:

Acqua

Bene. È generato da acqua, l’acqua che Silvia versava con un mestolo di legno sulle mani di figlio uno e figlio due.

Visitavamo un giardino giapponese delizioso, progettato nel 1919 per un industriale di Hirosaki, la cittadina dove avevamo pernottato per assistere al Festival di Aomori. Nella parte inferiore del giardino, intorno a un laghetto da favola, c’era una casa di legno e carta – chiusa. Tuttavia due gentili signori ci hanno fatto cenno di entrare, ci hanno sospinti dietro alla casa e ci hanno invitato a lavarci le mani in una tipica fontanella per le abluzioni prima delle preghiere. Poco più di un rubinetto, un mastello e un mestolo di legno.

L’acqua – lo sapevamo – va presa col mestolo e versata sulle mani non sopra il mastello, ma sulla ghiaia che lo circonda. Così abbiamo fatto, nella convinzione che ciò preludesse a una visita della casa, a una preghiera o simili. Ma c’era come una musica lontana, Mario si è voltato per vedere se qualcuno avesse acceso il cellulare, poi abbiamo visto gli occhi ridenti dell’uomo e ci siamo resi conto che la melodia veniva da sotto le pietre.

L’uomo ha cercato di spiegarcelo facendo anche i segni. Non abbiamo capito granché, tranne che l’acqua filtrando attraverso le pietre gocciola in un serbatoio che – ad interpretare il movimento delle mani della nostra improvvisata guida – potrebbe essere come sferico o comunque panciuto.

Una grande emozione.

Abbiamo provato a fare un video, che linkiamo qui sotto, ma che sapevamo avrebbe avuto un audio disturbato. Quindi abbia ripetuto la ripresa solo in audio, avvicinando lo iPhone alle pietre e quello sopra è il risultato.

Quando abbiamo finito ci siamo accorti che il giapponese e sua moglie erano spariti. Due angeli?

Qui il video:

Poi siamo partiti per Sendai, dove c’era un altro Festival fatto di grandi festoni di carta verticali che addobbano tutta la città. Anche qui abbiamo fatto esperienza d’acqua, ma sotto c’eravamo noi.

Nei prossimi giorni il tempo non dovrebbe granché migliorare e la visita dei templi e dei parchi non sarà facile.

Ma noi oggi abbiamo sentito la voce dell’acqua.

Tradition!

Vabbè, questa sarebbe una citazione da “Il violista sul tetto”, altro contesto e altre tradizioni, ma come direbbero i nostri due più giovani partner di questo viaggio “ci sta”: dalle esperienze giocherecce super-tecnologiche siamo passati al Giapone d’antan – in parte consapevolmente, in parte per caso.

Capisci che le cose sono (e specialmente sono state) un po’ diverse quando nel gabinetto dei maschi trovi un’icona di questo genere:


In realtà c’è il trucco: siamo al “museo dei samurai”, molto commerciale ma divertente e dove – naturalmente – “figlio grande” ha proprio dovuto fare la prova anche lui:

Nella strada verso il museo, in mezzo ad alti edifici amministrativi e commerciali, sentiamo un coro polifonico straordinario di donne. Sono allineate lungo la scalinata che affaccia su una classica “plaza” di ristoranti al piano interrato di un edificio di uffici. Qui ci dovrebbe essere un Festival balinese (!), ma intanto queste cantano benissimo, apparentemente senza maestra del coro – e sono anche amplificate molto bene.


Abbiamo tentato una ripresa, ma il microfono dello iPhone per di più all’aperto è quello che è:

Domenica, forti del nostro Japan Rail Pass di 14 giorni, ci siamo diretti al Nord della maggiore isola del Paese, dove in questi giorni si tengono alcune delle più grandi feste popolari. Prima tappa Akita, per il Kanto Matsuri: squadre di (immaginiamo) quartieri e associazioni, debitamente sponsorizzate da locali aziende e concessionarie, sfilano per la città. 

Ma prima della sfilata serale, nel pomeriggio, gruppi di ragazzi, ragazze e quelle che sembrano mamme (scuole?) danzano divertenti coreografie in piazza.


Ciascun gruppo ha una serie di timpani su carri, seguiti da flauti tipo di Pan, (percussionisti e flautisti prevalentemente ma non esclusivamente donne anche giovanissime) che accompagnano la squadra degli uomini che portano tre “Kanto”: sorta di alberi di Natale di bambù immensi cui sono appese quaranta lanterne  di carta. Ogni tanto si fermano, i flauti cessano, i timpani no e gli uomini innalzano i Kanto tenendoli in equilibrio su una mano, sulla fronte o sul sedere sporto in fuori. Di quando in quando ilKanto è reso più alto con l’aggiunta di pali, fino a diventare così alto da inarcarsi pericolosamente – fino a volte a rovinare sui fili della luce o su Kanto vicini. 

I bambini (maschi), anche di sei-otto anni, trasportano propri Kanto più piccoli e anche loro li inalberano sulla testa o sul sedere. 

Dopo un minuto o due il Kanto passa di mano. 

Qui qualche video:

Serata finita in una micro-tavernetta trovata per caso e tenuta da una anziana, gentile signora. Oltre annoi c’erano – nel senso che ci entravano solo altre due coppie. Siamo riusciti a un certo punto a far capire che volevamo anche mangiare, oltre che bere birra e sgranocchiare piselli secchi. Sono arrivati spaghetti in brodo, pesce fritto, insalata e riso!

Il tutto mente chiacchieravamo grazie a qualche avventurosa parola di inglese degli altri avventori e – sì – al po’ di giapponese che figlio due si è industriato a imparare prima di partire e che stupisce tutti quelli che incontriamo. 

Gia… ma fa parecchi errori (d’altronde quel cane che giocava a scacchi non vinceva mai).