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Dei treni notturni e delle stazioni indiane
Grande esperienza, sul “Passengers Train 281” diretto ad Agra. Come detto, si trattava di un treno “basico” (visto che non c’era altro modo a questo punto di spostarsi da dove eravamo fino ad Agra): cioe’ solo posti a sedere di II (la nostra vecchia III con i sedili di legno) e Sleeper Car, cioe’ vagoni-cuccetta con scompartimenti aperti e due cuccette anche in quello che per noi sarebbe il corridoio. Varia umanita’, grandi ventilatori sui quali si sbatte la testa, strutture in ferro dipinto di azzurro e cuccette di plastica del medesimo colore.
Il treno doveva partire alle 23.30. Noi abbiamo perso un po’ di tempo in un internet cafe’ per il precedente post e relative foto, poi ci siamo incamminati per la stazione, dove siamo arrivati intorno alle nove. Il treno era gia’ indicato con un’ora di ritardo, che poi e’ diventata un’ora e mezza, che poi sono diventate due. Noi abbiamo atteso nella sala per i possessori di biglietto “Sleeper or Upper Classes”, arredata con seggiole di metallo standard e lunghe “panche” simili a letti e larghe quanti un letto, dove la gente si puo’ stendere, dormire o quant’altro. In taciturna promiscuita’ (se uno ci si e’ steso, un altro sconosciuto puo’ sempre aggiungersi). Ovviamente, per garantirsi che solo le “upper classes” entrino nella sala suddetta, c’e’ un tizio intabarrato all’ingresso che chiede di riempire un lungo formulario con nome, indirizzo, eta’ (ma perche’, perche’ dobbiamo continuare a dire che abbiamo 54 e 55 anni per fare qualsiasi cosa?), destinazione e numero di biglietto. Insomma quasi come nelle sale vip degli aeroporti. Chi non entra nella sala “vip”, attende il suo treno avvolto in coperte sui marciapiedi del binario 1.
Tutto intorno, una deliziosa stazione d’antan, appena ridipinta di colori brillanti (prevalente il rosa), con i facchini in turbante che sulla camiciola bianca standard da poveracci, portano una camicia rossa e un possente bracciale di ottone. C’e’ un tizio che all’avvicinarsi di ogni treno suona una splendida e possente campana di ottone. Ma c’e’ anche un asfissiante sistema di annunci audio in indi e in inglese di quelli con le costruzioni di frasi automatiche, come nelle stazioni italiane, che pero’ ripete lo stesso messaggio almeno due o tre volte, che moltiplicato due lingue fa quattro o sei: divertente quando i treni in partenza o in arrivo sono due nello stesso arco di pochi minuti.
Arrivato finalmente il treno, abbiamo preso posto senza difficolta’… d’altra parte in una magnifica bacheca nei pressi dell’ufficio del capostazione c’erano gli stampati dei computer con tutte le prenotazioni sui treni in partenza e i nostri nomi spiccavano… ma senza l’eta’, grazie al cielo. Notte sostanzialmente tranquilla, abbracciati agli zaini e avvolti nei nostri sacchi lenzuola comprati da Sportler a Trento. Arrivo con una sola ora di ritardo ad Agra (“Ha recuperato”), dopo migliaia di soste.
Qui ad Agra alloggiamo in un posto un po’ alternativo e simpatico. Una postazione internet che e’ una scheggia, un ristorantino in giardino dove stamattina abbiamo fatto colazione in attesa che ci preparassero la camera. Poi una doccia calda e siamo andati a vedere Fathepur Sikri, la citta’ fatta costruire a una quarantina di km da qui dal grande imperatore moghul Akbar e abbandonata dopo la sua morte perche’ costruita in luogo troppo arido. Bella, ma ancora piu’ bella la grande moschea ancora in attivita’ in stile – crediamo – centro asiatico. Il tutto, via bus locale.
Questo e’ sostanzialmente tutto per oggi. Abbiamo cercato di telefonare a Giulio per la sua festa, ma ci ha risposto la segreteria di Vodafone, dove non abbiamo lasciato messaggi perche’ Silvia dice che Giulio non li sente mai. Ora gli mandiamo un sms e intanto un abbraccione da qui.
ciao ciao
AGGIORNAMENTO: se cliccate qui c’e una galleria, niente stazioni pero’ che’ sono obiettivi sensibili e qualcuno se le fotografiamo potrebbe offendersi.
Contrattempi e soddisfazioni
Vi scriviamo da Sawai Madhopour, una cittadina qualsiasi ed informe all’incrocio di due importanti linee ferroviarie, ma che ha il pregio di trovarsi a una dozzina di chilomentri dalla riserva naturale di Ronthembore. Una ex riserva di caccia del maharajah di Jaipur, che dagli anni settanta e’ diventata parco nazionale.
Ma prima di arrivare al “grande incontro” di ieri e di stamane, un piccolo elenco di contrattempi, tanto per non far sembrare che Mario organizza sempre tutto in maniera perfetta.
1) L’altro ieri mattina a Bundi abbiamo deciso di “fare un salto alla stazione” per vedere gli orari dei treni ed eventualmente prenotarli. SIccome – naturalmente! – Silvia e Mario se appena possono non prendono mezzi, ci siamo fidati della cartina della Lonely Planet che indicava la stazione a 600 metri dal nostro albergo. Era in realta’ a circa quattro chilometri. Una passeggiata che non avremmo scelto, ma che ci ha fatto camminare attraverso la “periferia” di una piccola citta’ dell’India rurale. Non male, in fondo, e poi alla stazione, un gentilissimo signore ci ha datto informazioni e fatto le prenotazioni — non prima di aver dichiarato e sottoscritto nome, cognome, sesso, eta’, indirizzo e forse anche qualche cosa d’altro. Poi un altro gentile signore, vedendoci arrancare sull’asfalto, si e’ fermato con la sua Maruti e ci ha riportati in citta’.
2) Il pomeriggio dello stesso giorno non avevamo impegni (!) e abbiamo deciso di affitare due biciclette per fare un giro nei dintorni. Per 30 rupie l’una (poco piu’ di mezzo euro) ci hanno dato degli strumenti meravigliosi: tutti neri, con i collegamenti dei freni in acciaio, nessuna luce, il portapacchi (dove normalmente viaggiano le signore, quella nostra invece guidava un mezzo tutto suo) e il cavalletto. La prima meta’ della passeggiata non e’ andata male, attraverso la campagna, un villaggetto con coltivazioni, mucche per le vie fangose, ragazzini, capre e donne che lavorano nei campi con sari coloratissimi. A un certo punto tutto questo e’ scomparso e stavamo per far marcia indietro, quando un gentile signore (dotato di moglie silente e sorridente al seguito) ci offre da mangiare non so che da un cartoccio di carta di giornale (sorriso, ma non accettato) e ci dice che per tornare a Bundi basta prendere la prossima a destra e poi sempre a destra.
Lo abbiamo fatto. Ed e’ cominciata la salita. Non occorre dire che nelle 30 rupie giornaliere, non era incluso alcuno strumento di cambio e che spingere un rapporto base con tutta quella splendida ferraglia lucente sotto le gambe non e’ difficilie, e’ impossibile. Quindi abbiamo cominciato a spingere. Solo che la salita non e’ finita fino in cima alla montagna (tipo un paio di chilometri). La sorpresa in cima e’ che ci trovavamo accanto al forte della citta’ e che la strada finiva la’ (ce’e’ un’orrenda antenna di trasmissioni): per scendere solo un sentiero scarrupato, tipo quello della Paganella per chi conosce la zona ;-). Tornare indietro non se ne parlava e ci siamo incollati (letteralmente) le splendide e pesantissime bici fino in fondo.
3) Mario ha fatto un studio accurato di tutte le sistemazioni qui a Sawai Madhopour, luogo non esattamente ridente e denso di vita. Ha optato alla fine (contro ogni precedente indirizzo) per il locale albergo del governo del Rajasthan, solo perche’ e’ nello stesso posto dove si prenotano le visite alla riserva con jeep e camion scoperti. La guida indicava anche un piacevole prato e un falo’ acceso d’inverno per gli ospiti.
Abbiamo trovato un luogo da realismo socialista d’altri tempi. Camera con neon sparato dalla parete, niente luci locali, armadio in formica finto legno e un ristorante DESERTO dove una pepsi cola e’ risultata CALDA. Ma c’era l’uffico prenotazioni, no? Beh, si e no. L’ufficio c’era e per questo l’albergo non faceva da intermediario per le prenotazioni, in compenso all’ufficio c’era una calca indescrivibile di agenti e di guidatori di jeep che presentavano le loro domande. Abbiamo difficolta’ a descrivere esattamente come procede, visto che non lo abbiamo ancora capito. Comunque – previo deposito come al solito di nome, cognome, sesso, eta’ indirizzo e n. di passaporto – Mario e’ riuscito a ottenere due posti su un camion, senza comprare gli altri 18 rimasti vuoti. Al costo di tre ore di fila il primo giorno e una questa mattina (dalle 5 alle 6).
Ora pero’ viene il bello. La visita, anzi le due visite alla riserva sono state molto divertenti e entusiasmanti. E’ uno dei pochi posti in India dove e’ possibile incontrare la tigre. Ma ci sono anche cervi maculati (tipo bambi), sambur (chi ricorda i lupi a caccia che “seguono le tracce del sambur veloce”?), antilopi, coccodrilli, cinghiali e ogni tipo di uccelli: dal serpentario al martin pescatore.
La scena ricorda – ancora una volta! – i racconti un po’ fiabeschi di fine ottocento, e il Libro della Giungla in particolare. Sparsi per tutta la zona ci sono rovine di padiglioni di caccia del maharajah, un vecchio forte sulla cresta di una collina con dentro templi e palazzi diruti, un fiume e due laghi, ma anche tanta prateria e vere liane che sembrano tronchi. Naturalmente la stagione e’ secca, e il fiume sembrava proprio la Waingunga durante la “tregua dell’acqua”, con tutti gli animali che vanno ad abbeverarsi.
Sua maesta’ la tigre si fa un po’ sospirare (d’altra parte in tutto il parco ce ne sono solo 27, a causa anche del bracconaggio in favore della medicina tradizionale cinese), ma vedere si vede.
Il primo giorno passeggiava con noncuranza davanti a una processione di camion e di jeep sulla via del ritorno dopo un inutile cercare. Noi eravamo nel quarto camion quindi siamo riusciti a vederla da dietro, poi ha piegato a destra verso il bosco e l’abbiamo vista abbastanza bene, seppur brevemente. Mario ha cercato di immortalarla, ma temiamo che le foto siano della qualita’ inesistente di tutti i suoi precedenti tentativi di riprendere l’avifauna (vedi le gallinelle di mare in Islanda e l’orso ad Andalo).
Questa mattina nuova escursione e nuovo incontro, un po’ meno ravvicinato, ma piu’ chiaro: l’esemplare era enorme, i colori bianco, nero e arancione erano evidentissimi (l’altra era piu’ piccola e giallina). Dopo poco si e’ infilata nel bosco. Abbiamo cercato di seguirla lungo la strada affidandoci ai segnali di allarme lanciati dai sambur, ma non c’e’ stato niente da fare. In compenso, poco prima, la guida aveva mostrato alcune impronte di tigre, che sembrano proprio quelle di un enormo pupazzone di peluche. Anche queste fotografate. Finito che avremo di scrivere, cercheremo di caricarne qualcuna — ma senza nessuna garanzia, vista la difficolta’ tecnica.
Per Monica: di fronte al nostro albergo c’era anche un “Monica Restaurant”, cioe’ una baracchetta con bottiglie e fritture da camionisti. Te ne porteremo copia.
Tra cinque ore ci imbarchiamo su un treno notturno per Agra (treno di quelli “basici”, non per scelta, ma perche’ non c’era altro). Riferiremo in seguito.
Abbracci e auguri al figlioccio di Silvia!
AGGIORNAMENTO: una minigalleria ci e’ riuscita, la trovate cliccando qui.
La caccia delle Tane fredde
Giornata di piena e completa soddisfazione: alloggiare nell’albergo con i collegamenti (sociali) giusti ci ha aperto la porta della casa che volevamo visitare. Un gran racconto, forse non una grande "storia" in senso giornalistico, ma in ogni caso una roba da rimandare a Roma.
Il resto della giornata passato a passeggiare per questa strana cittadina, dove lo strepitoso palazzo del Maharajah e’ in totale rovina e incredibili miniature sui muri sono lasciate a se stesse, al sole, al vento e ai visitatori che potrebbero toccarle o grattarle via. Il tutto in una atmosfera di sfascio e (ma si, diciamola la parola) "decadenza".
In questa citta’, come detto, ha vissuto Kipling per un paio di mesi scrivendo – dicono – una parte di Kim. Mario ad ogni passo (qui piu’ che altrove) ritorna costantemente con la mente ai ricordi di lupetto, con le Bandar che ti fanno i dispetti presentandosi a frotte sui muri diruti di cenotafi e castelli. Sul monte alle spalle della citta’, un vecchio forte abbandonato (con frammenti di pitture anch’esso) e’ infestato di scimmie ("quelle con la faccia rossa sono un problema, quelle con la faccia nera no"), di spinose acacie, tamarindi e banyani che spuntano dalle rovine. Un’atmosfera da "Caccia delle Tane fredde" (se i ricordi del Libro della Jungla di Mario valgono ancora qualcosa — ma non ne e’ molto sicuro).
Per il momento dovete accontentarvi di parole. Abbiamo con fatica selezionato alcune foto per fare due piccole gallerie di Udaipur e qui di Bundi, ma il collegamento fa talmente schifo che non riusciamo a caricarle…. speriamo domani o nei prossimi giorni.
Anche noi siamo rimasti colpiti dall’affaire Berlusconi-Lario. Due giorni fa ne ha fatto cenno la BBC e poi abbiamo dato un’occhiata a Repubblica.it, leggendo la lettera aperta e tutto il resto. Commento: "Quando la realta’ imita il reality, ovvero: Veronica nomina Silvio".
Abbracci a tutti