…paraponziponzipò.

  Non è che il Kilimanjaro si veda molto bene oggi (d’altronde sono cominciate le  “piccole piogge”), ma “alle falde del…” ci siamo! Depositati da una solerte suor Noela e dall’autista del monastero delle wakamaldolesi (è plurale, no?) ad Arusha, che si trova appunto sotto la montagna più alta dell’Africa da dove nel pomeriggio riprenderemo lo shuttle per Nairobi.
Cinque giorni molto particolari a Karatu, un paio dei quali passati a fare i turisti organizzati da Noela e guidati da suor Prudenziana. Uno al lago Manyara e uno al Cratere di Ngoro Ngoro, il cui parco ha l’entrata a tre km dal monastero. Non sappiamo se la connessione di questo Internet café reggerà per un post illustrato ma ci proviamo: 

    
 Trattasi di immenso cratere al cui interno convivono habitat diversissimi, dalla savana, alla palude, alla foresta quasi tropicale – oltre a migliaia e migliaia di animali di ogni specie e tanti, stupendi uccelli. Vi facciamo grazia di foto a ripetizione, ma non mancherà occasione di persona.

Dei cinque, due giorni li abbiamo passati sostanzialmente in monastero, seguendo per quanto possibile la liturgia delle ore (in swahili, come detto) e ieri la messa di Tutti i Santi con le monache (tra aspiranti, postulanti, professe semplici ecc. una venticinquina) che cantavano prodigiosamente melodie vagamente africanizzanti, ma armonizzate tipo la SAT dei tempi d’oro. Al posto della “classica” monaca con l’armonium, ce n’era una che suonava un set di cinque tamburi. Quattro ragazzine – apparentemente tra i sei e gli 11 anni – danzavano in linea davanti ai banchi dei fedeli (pochi, i fedeli).

Ieri sera addio tra le commozioni e le suddette, quelle giovani, si sono presentate cantando e battendo le mani per salutarci e donarci come ricordo un tessuto da uomo Masai e uno di cotone stampato per donna, con i quali siamo stati avvolti.

In certi momenti del giornata abbiamo semplicemente pigrato 

 Oppure abbiamo giracchiato intorno. 

Stasera Nairobi e gli incontri con il Kenya digitale che ci ha organizzato la nostra amica Francesca.

A Karatu dalle camaldolesi

Evviva! Scriviamo da un internet point sulla strada principale di Karatu (Tanzania), provvisoriamente riconnessi al mondo (ma non altrettanto le nostre macchine di ripresa fotografica, ergo nuovo post “cieco”).

Siamo arrivati al monastero di Santa Caterina delle monache camaldolesi due giorni orsono dopo un viaggio lunghetto ma non troppo in minibus da Nairobi fino ad Arusha, la capitale settentrionale della Tanzania. Li’ ci aspettava suor Noela in persona (amica di Marta e responsabile della foresteria del monastero) e con la loro macchina e altre tre ore di strada abbiamo raggiunto il monastero. Beh, i recensori di TripAdvisor avevano ragione, anche se non ne dubitavamo: un’oasi verde e fiorita sugli altopiani tanzaniani a due passi dal cratere di Ngoro Ngoro.

In questi due giorni abbiamo vissuto sostanzialmente in seguendo, per quanto possibile, la vita delle monache che – cortesissime – ci fanno mangiare con loro. Unico problema (culturale?) e’ che tutte si stupiscono – alcune diremmo che si indignanno – che mangiamo troppo poco. Vorrebbero riempirci i piatti continuamente e noi letteralmente non ce la facciamo. Ci dicono che “assaggiamo” e che “non sappiamo mangiare” (in italiano nel testo, ovviamente, visto che una gran parte di loro parla regolarmente italiano). Cerchiamo di non deluderle, ma se uniamo questa esperienza ai tre pasti al giorno completi (anche li’ di cucina italiana) dei lodge del nostro amico Riccardo, temiamo di dove digiunare fino a Natale quando torniamo.

La mattina Lodi e la sera Vespro con loro. Altra esperienza interessante, con una postulante che ci indica sul salterio il punto dove siamo – ovviamente in Swahili. Per ora riconosciamo le parole dio, signore e “per sempre”. Ma anche che le preghiere che cominciano “Salamu Maria…” e “Baba…” sono quelle che pensiamo che siano. Ieri sera ci e’ sovvenuto di avere l’intera bibbia in italiano scaricata sui nostri telefonini e questa mattina abbiamo anche cercato di seguire salmi e letture nel testo italiano. Un lavoro di equilibrio non facile, ma interessante. Un brano della lettera ai Galati ci ha fatto anche scoprire che “legge” in swahili si dice “sharije”. E’ noto che ci sono una enorme quantita di prestiti arabi, ma questa fa un po’ strano, no?

Ieri pomeriggio, guidati da suor Prudenziana, abbiamo fatto una passeggiata dietro al monastero, visitando la scuola elementare che si trova a pochi metri, il mulino per il mais che hanno messo su e un luogo di ritrovo con bevande, negozietto e televisione, che la buona prudenziana ha paragonato a una “Casa del popolo” (ha frequentato Faenza e dintorni…). Eravamo naturalmente preparati a trovare una scuola piuttosto malmessa e tale era, ma ci hanno particolarmente colpito le case dei maestri che la circondano: minuscole, malmesse, latrine all’esterno, ecc. Il fatto che si tratti delle abitazioni degli insegnanti, da’ il metro della situazione.

Stamattina con suor Scolastica a Karatu, la cittadina a una decina di chilometri di distanza dal monastero.  Visita al una piccola casa che le monache hanno in citta’ per ospitare le ragazze che devono finire le superiori e a un terreno che gestiscono. Poi siamo riusciti a risolvere il problema del contante, i nostri bancomat non funzionavano e apparentemente neppure le carte di credito. Alla fine – grazie a suor Scolastica – in uno sportello bancario mobile (una specie di camper) c’era un bancomat che ha riconosciuto e pagatoo. la nostra carta di credito. Cosi’ ci sentiamo piu’ tranquilli. Quindi “affermazione di indipendenza” nei confronti della iperprotettiva suora e ci siamo sganciati per fare un giro da soli in citta’ fra mercati e polvere rosse. Il progetto e’ che tra un’ora prendiamo un “apetto”-taxi, ma solo per un tratto, gli ultimi chilometri vogliamo farli a piedi.

Domani gita “turistica” al lago Manyara e al suo parco. Poi si vedra’.

Doccia nella savana

  Paura, eh? 

Invece no, nonostante l’immagine che rimanda al suo più famoso parente che ha fatto carriera a Hollywood, qui il gattone non ruggiva né cercava di spaventare nessuno – semplicemente sbadigliava. Vedete alla fine il contesto quanto conta?

Vabbè, ma a noi la foto piaceva e siccome siamo succubi del cinema americano (ma anche delle locandine dei vecchi circhi italiani), ve l’abbiamo piazzata così in cima.

Non è peraltro che le sue intenzioni fossero necessariamente benevole. in realtà si trovava da quelle parti sin dalla mattina insieme a quattro leonesse a far la posta a un paio di leopardi, costretti a rimanere per ore sugli alberi (il leone non si arrampica). 

   
Lei, la mattina l’avevamo vista che cercava di avvicinarsi al maschio “inalberato”, ma avvertiti i leoni si è arrampicata anch’essa. Non è che ai leoni piacciano i leopardi da mangiare, ma gli è che a quegli sciagurati di leopardi piacciono i cuccioli di leone e così papà e mamme corrono ai ripari.

Questo è stato l’ultimo serio avvistamento, dopo una corsa pazza per la savana per seguire la caccia di una iena a uno gnu, si è conclusa nel modo prevedibile, ma francamente orribile che vi risparmieremo. In serata, comunque, zuppi di pioggia (qui comincia a piovere seriamente) siamo arrivati per la nostra ultima notte al Masai Mara nel lodge dei lodge: Saruni Wild, un “campo tendato” sull’orlo della savana dove siamo arrivati che il sole tramontava.

  
Quando si parla di tende, in questo caso si parla di camere con bagno costruite in tela, arredatissime e serviti di tutto punto. Qui la visione di stamane dal nostro letto:  

  L’unico segno di essere, diciamo, in campeggio, è che non c’è elettricità e che per farti fare la doccia un gentile signore – all’esterno della tenda dove tu sei nudo come un verme – viene su appuntamento a riempire un secchio di tela impermeabile con 20 litri di acqua all’uopo riscaldata, che quindi issa con una carrucola sopra il livello della tua doccia. Un tubo provvede a far passare l’acqua dal secchio alla cipolla, così tu ti lavi.

Beninteso, il signore è sempre là e quando tu tiri una catena per chiudere, ti chiede da dietro la tela: “Finished?”

Alle 10:30 eravamo al campo di volo di Mara North per rientrare a Nairobi. Quarantacinque minuti di volo, durante i quali Silvia ha lavorato assai per imparare a pilotare un aereo. 

 Vabbè, però la sera prima davanti al fuoco nella notte della savana faceva la sua figura :-) 

 Siamo in questo momento a Nairobi, dove letteralmente diluvia. Ci siamo goduti alcuni dei più celebri teschi di ominidi al Museo Nazionale (il Kenya – e anche la vicina Etiopia, per la verità – è la culla dell’umanità, visto che tutto sembra cominciato da queste parti). 

Domattina di buon ora si parte in bus per la Tanzania, Karatu e le consorelle di Marta. Un’altra bella storia.

Mangiare (ovvero, io sto con gli ippopotami)


Domenica mattina, picnic breakfast sul fiume Mara, mentre una sessantina di ippopotami, tornati dal loro pasto notturno se la spassano semi-immersi nell’acqua. Enormi certo, ma anche alcuni “piccoli”:

 “Mangiare” è in molti sensi un tema di questo viaggio, sia per i sontuosi e regolarissimi pasti proposti dalla organizzazione, sia perché appare l’attività principale degli esseri che andiamo a visitare.

A volte i pasti degli umani si incontrano con quelli degli animali, come nel caso della genetta che si apposta regolarmente vicino alle camere di Saruni Samburu e, appena vede il cameriere con il caffè della sveglia mattutina, s’infila sotto le tende, salta sul tavolo e se ne va coi biscottini.

 Oppure, come si è visto, a volte sono gli umani a portare il proprio pasto dove sono gli animali, ippopotami oggi, zebre l’altro giorno (fidatevi, lì in fondo ci sono)

 Il più delle volte, naturalmente gli animali (e gli umani) fanno da soli e come si procacciano il cibo gli animali – per quanto le immagini possano essere poco gradevoli – è uno degli spettacoli che gli umani vengono a vedere.

Già la prima sera al Masai Mara abbiamo assistito allo spolpamento di uno gnu da parte di un branco di iene

 La mattina dopo, questo era il risultato:

 Le stesse 40-iene-40 abbiamo avuto il piacere di incontrarle anche di giorno. Ne potete vedere il video cliccando quI o copiando e incollando questo indirizzo:

Le iene, si sa, sono brutte, ma anche i ghepardi belli ed eleganti come principi della savana, quando è l’ora di pranzo si levano la fame in modo simile [“mAAngia?”,  chiedeva Giulio da piccolo per sapere se l’animale era feroce] anche se nell’eleganza di un pasto da single (la malcapitata è una gazzella di Thomson):
  
Mentre il ghepardo pranzava, un avvoltoio tipo quelli dei fumetti zampettava intorno, cacciato ogni tanto dal felino, e  una più timida (e piccola) aquila attendeva poco lontano.

Naturalmente non tutti gli animali della savana fanno pranzo e cena a questa maniera, ce ne sono di notoriamente più pacifici e simpatici, anche tra i “Big Five”

 Oppure, quand’anche carnivori, vivono come tutti noi un momento della loro vita quando il loro pasto fa sciogliere di tenerezza:

  

Le pecore non sono gazzelle

Due giorni “veramente” nella savana, nel senso che le uniche cumunicazioni possibili erano quelle da persona a persona, orfani di una connessione internet pazzarella e già Mario si sentiva spaesato. Nobbuono, ma così va la vita, non siamo più ai tempi in cui il primo pezzo di Stanley partito alla ricerca del dott. Livingstone uscì sul New York Herald mesi dopo essere stato inviato dal cuore dell’Africa – quando, peraltro, il famoso incontro (“Dr. Livingstone, I presume?”) era già avvenuto da un mese. 

Insomma, qui si sono promessi aggiornamenti frequenti e noi accumulavamo foto e notizie senza poterle comunicare. Ora pare qualche connessione ci sia, quindi prepariamo questo testo sperando nella buona sorte (ma niente foto, per non rischiare). Ci proviamo, sennò avrete tutto insieme poi.

È il terzo giorno al Saruni Mara, davanti alla nostra “stanza” (mezzo in muratura, mezzo in tela) c’è un prato dove il primo giorno siamo andati a fare due passi, solo per essere inseguiti da un cameriere che ci ha spiegato che era pericoloso: di lì a due ore, poco prima del crepuscolo, zebre, babbuini, impala (splendide antilopi dalle corna a forma di lira) sono venuti a passeggiare e a pasteggiare qui davanti. 

Con loro anche un eland, che per muso e corna sembra una specie di enorme antilope, ma è parente sia pur remoto dei bovini. Questo però è un eland speciale, lo chiamano “resident eland” perché ha eletto il lodge a sua residenza e ogni tanto si affaccia alla porta o si stende a ruminare davanti al negozietto. Chi ha un account Facebook può vederne una immagine che ho postato due giorni fa, gli altri dovranno aspettare.

Ha piovuto parecchio (sante giacche a vento e perfino santi ponchi), non dovrebbe essere un gran guaio perché ti portano sempre in giro con il fuoristrada, ma si tratta di un fuoristrada tutto aperto per agevolare l’avvistamento di animali – e l’entrata della pioggia. Nelle molte ore di sole, però ci scottiamo.

Siamo nel santuario faunistico più santuario faunistico di tutto il Kenya e – qualcuno dice – di tutta l’Africa. Le “prede” più ambite sono come ovvio i grandi animali (leoni, leopardi, ghepardi, elefanti, bufali e rinoceronti), ma c’è un fascino assoluto ad attraversare le grandi praterie costellate di centinaia di antilopi (di Grant e di Thompson), di impala, zebre, gnu, facoceri, struzzi e giraffe, spesso tutti insieme e – come dire – nella stessa inquadratura. Poiché facciamo le nostre visite nel North Mara Conservancy (una specie di immensa riserva privata ai margini del parco nazionale propriamente detto) la nostra auto può attraversare questi animali che brucano, ruminano o trotterellano e si aprono spostandosi al nostro passaggio. 

Il che ha dato il destro a Silvia di coniare uno dei suoi detti memorabili: “Le pecore non sono gazzelle” [“hele,belle…”, “stupidi!”]. Nel senso che invece di aprirsi come il mar rosso o appunto le gazzelle al nostro passaggio, devono essere bersagliate con pietre dai pastori masai perché ci lascino il passo.

Di pecore e anche di mucche ne abbiamo viste tante giovedì al mercato settimanale di un villaggio qui nei pressi. Stavamo per entrare nel recinto insieme a Silvia, quando ci siamo resi conto che all’interno c’erano solo uomini, le uniche donne essendo accovacciate sotto un alberello al centro per vendere bevande agli uomini. Le altre donne erano tutte all’esterno. Secondo la nostra guida in attesa che gli uomini consegnassero loro i proventi delle compravendite, per andare a fare la spesa nei recinti vicini dove erano in mostra vestiti, scarpe, vasellame, frutta, verdura e monili (i monili di perline son cosa assai importante sia per uomini sia per donne).

Quanto agli animali grandi, ci “mancano” solo il leopardo e il rinoceronte, che però ormai qui ce ne sono solo due regalati dal Sudafrica. Scene top:

  • Un branco di iene che sbrana uno gnu (doppia: sia notturna, sia diurna)
  • Un avvoltoio che cattura un piccolo di facocero per poi essere messo in fuga da un gruppo di manguste
  • Una famigliola di leoni che riposa sotto un alberello con tre cuccioletti che prendevano il latte dalla mamma.

 Lo splendido ghepardo (chetah) che pure abbiamo visto, se ne è rimasto buono buono a sonnecchiare e a fare due passi, con grave delusione della guida che sperava partisse in caccia in direzione delle zebre, gnu e antilopi che mangiavano lì vicino. 

Stamattina altra passeggiata a piedi su una “montagna”, che in realtà è una collina qui vicino, con bel panorama e guida – dotatasi per l’occasione di lancia e mazza tradizionali – che temeva incontri con animali. 

Ora altro “game drive” (gita in macchina a cercare animali selvatici) e domani trasferimento a Saruni Wild, dependance tendata del lodge, in luogo che dicono magico. :)